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Dal Corno al Cusna, un viaggio lento a piedi fra un bicchier di vino ed un caffè


Verde intenso di color anglosassone, macchie di giallo brillante spruzzano la prateria precipite che incombe su di noi in maniera protettiva, come il guscio di un uovo primordiale. Il sentiero ci precede tagliando in costa, come un grande coltello, la montagna d’Appennino chiamata Cusna.
La meta prefissata del nostro trek.
Sopra le creste rocciose che spuntano dalle zone prative si addensano nere nubi foriere di pioggia che non tarda a venir giù copiosa ed accompagnata da saette sfavillanti, seguite immediatamente da rombi di tuono assordanti che ci fanno tremare. Stavolta Tinia, il dio etrusco della pioggia e del tuono, non ci favorisce e manda in terra tutte le sue potenti armi quasi ad ammonire i poveri mortali che solo lui è il vero padrone del mondo.
Noi non ne dubitiamo e, testa chinata ed incappucciata come degli oranti, cerchiamo rifugio nell’ombrosa faggeta dove le foglie, sebbene fitte, non riescono a ripararci neppure per il tempo necessario ad indossare giacche, mantelle e copri pantaloni di Gore-tex. Alla pioggia, in pochi secondi si sostituisce la grandine che inizia a colpirci con una sassaiola fredda e impressionante.
Alcuni di noi stentano a districarsi nella boscaglia ostruita da alberi caduti in precedenti tempeste quando la neve col suo peso gli ha fatti cadere. Qualche parolaccia all’insegna della Forestale che – sapremo poi – in una anno non ha saputo ripulire questo sentiero storico chiamato GEA inventato dal sottoscritto ai primi anni Ottanta e percorso ogni anno da centinaia di escursionisti e viaggiatori lenti – Perché? Domanda inutile in Italia. Non siamo lontani dalla salvezza.
Il rifugio Battisti, vecchio di secoli, non è lontano e questo ci da speranza mentre affrontiamo l’erta salita finale seguendo  un sentierino che solca il mirtilleto, divenuto già un ruscello che scorre anche sopra le nostre pedule. Invasi dall’acqua si è costretti a salire affondando di tanto in tanto nella poltiglia fangosa formata dal una commistione di mondo vegetale e minerale. Poi eccoci sbucare sulla sterrata che conduce in breve al Rifugio che in questo caso assume il vero significato che ha. Entrati, dopo aver lasciato gli scarponi nell’atrio, veniamo accolti dal tepore di una stufa accesa che riporta il sorriso sui nostri volti da “rifugiati”. Fra battute varie mettiamo abiti e scarponi ad asciugare e concordiamo di avere avuto fortuna in questo viaggio lento a piedi che in una settimana ci ha portato dal Monte Corno alle Scale fin qui: In quelle lunghe giornate di Luglio, sempre sole e belle giornate! Stavolta la dea Fortuna ci ha protetti nel suo grembo materno d io per ringraziarla brucio alcuni rametti di ginepro che avevo raccolto all’uopo. Mai dimenticare di ringraziare le deità della natura, quando sono state parche con Noi!
Domani scenderemo la bella mulattiera che giunge a Civago (Re) e la scarpinata lungo la spina dorsale d’Italia, il nostro amato Appennino, sarà conclusa. Al pensiero provo due opposte sensazioni: da un lato sono contento di andare a riposare qualche giorno sulle spiagge di Maremma mettendo i doloranti piedi a guazzo nel Tirreno. Dall’altro provo già un magone sottile. Lo stesso che da decenni mi assale alla fine di ogni sana avventura fra i monti di mezzo mondo: quindi sono felice di tornare a casa ed allo stesso tempo, dispiaciuto di lasciare una parte di me fra queste montagne un po’ dolci e un po’ dirupate. Unica consolazione: almeno questa parte di me godrà sempre di vasti panorami. Bello però!
Gustando un buon dolce fatto con amore dai giovani e dinamici gestori del Battisti, inizio a ricordare le varie tappe ed i momenti salienti del viaggio con le relative sensazioni.
L’incontro alla stazione di Porretta dove, oltre ai nuovi abbiamo riabbracciato i nostri amici belgi, austriaci, lombardi, emiliani e toscani che hanno condiviso con Noi di Appenninoslow altri trek in anni passati: commovente.
La notte ventosa e tempestosa al Rifugio Duca degli Abruzzi al Lago Scaffaiolo: paurosa
La partenza all’alba del giorno dopo con una visibilità eccezionale su mezza Italia dovuta al persistere del vento. Le fioriture multicolori che spuntavano dalle diverse scalature del verde prateria che, come un enorme tappeto, veste le “nude” sommitali, lasciando in  scure faggete silenti ad incorniciare questi nostri monti sovrani: emozionante
Poi giunti all’Abetone vengo piacevolmente assalito dai ricordi di un me giovinetto sciatore che rimase a bocca aperta all’arrivo filante del mito dello sci di allora: Zeno Colò; un vero colosso dello stile che poi diventerà moderno sulle nevi di tutto il mondo. Solo che lui lo metteva in pratica con lunghi sci di legno: eccezionale
E ancora il Passo di Annibale, sopra la Val di Luce dove ognuno di noi si immaginava il difficile transito dei famosi elefanti che misero terrore alle legioni romane: storico
Insomma tutti quei ricordi mi si ripresentavano alla mente fra un bicchiere di vino ed un caffè, parafrasando Gino Paoli. Ci pensavo godendo ed ero felice di aver condiviso tutto quel ben degli dei con i mie compagni di viaggio che al pensiero ringrazio e saluto.
Infine ecco arrivare il pulmino con il fido e premuroso Stefano Lorenzi, storico organizzatore dei nostri viaggi a piedi in zone appenniniche.
In quell’abbraccio finale si riassume tutta l’eccezionale esperienza che, concordiamo tutti:
E’ da ripetere!

Testo e foto di GIANFRANCO BRACCI