Suggestioni di un cammino: Minorca, “Camì de Cavalls”


Vedo le mie compagne di viaggio che procedono, ognuna con la propria andatura, il proprio passo. E ne osservo il movimento, le fattezze, il polpaccio, la muscolatura, ne noto le differenze. Penso a come siamo diverse, mi chiedo quale sarà la loro storia.

Siamo un piccolo gruppo e stiamo condividendo questi momenti, rapite dalla bellezza dei paesaggi, dal colore del mare che ci toglie il fiato e ci  fa correre in acqua sciamando come delle bambine.

C’è il sole, che ci chiama fatica e sudore, ma anche riflessi inattesi e toni, e trasparenze. Un sole che rimpiangiamo quando piove e malediciamo quando c’è, rovente, arso e crudo, che ci sfida e ci costringe a tenere duro, a sfoderare la nostra forza, perchè dobbiamo andare avanti e non possiamo fermarci qui. E allora giù la testa, devo guardare davanti a me, e passo dopo passo noto la varietà del terreno: prima la sabbia soffice e scura, poi gli aghi di pino “che ti fanno scivolare”,e poi vedo le rocce bianche, i sassi con i buchi, il terriccio rosso, la pietraia, il sale, il fango, le rocce lunari, quelle nere… ma quante sono, quante diverse sono? Mi segnalano che sta cambiando qualcosa intorno a me, ed intanto mi trovo a riflettere sul fatto che se non voglio farmi male e voglio procedere bene devo stare con quello che c’è e non tenere troppo la testa tra le nuvole, per aria.

Mi posso fermare, ed ammirare quello che ho intorno, e farmi avvolgere dalle sensazioni: i colori, i profumi, i suoni, ma anche il sudore, la fatica, la stanchezza.

Intanto c’è Federica, che ci richiama, ci sollecita, ci racconta e ci ferma , per mostrarci il corbezzolo, il leccio, il mirto e chissà cos’altro. E ci parla di torte, di radici, di leggende e di invasioni, di vesciche e di talloni. E di muretti, costruiti con antica sapienza dagli immigrati magrebini, esempio concreto di contaminazione tra culture che condividono la stessa vita da agricoltori o da pastori. Allora io penso che forse c’è sempre la possibilità di recuperare qualcosa che è andato perduto, qualcosa di ordinario, ma che è in sè un’opera d’arte, costruita con pazienza, e lentezza, e attenzione.

Abbiamo anche una giornata di mare, per riposarci, ritemprarci… siamo in vacanza!

Ci dobbiamo preparare alla festa di Maò. Non possiamo immaginare quello che ci aspetta.

Già quando arriviamo in città sono stupefatta: ma quante migliaia di persone ci sono?

Le strade non sono più strade: c’è sabbia, tanta sabbia, gialla, scura. E sembra di fare un salto nel passato, quando l’asfalto non esisteva e le strade erano piste. La città è apparecchiata a festa ed adattata al cavallo, vera divinità che sfila possente e meravigliosa con i suoi cavalieri per le vie e tra la gente. Poi inizia la danza e nella piazza gremita di persone i cavalieri mostrano con il sorriso la loro capacità di dominare la natura, la divinità, il cavallo. Esibiscono il loro coraggio, l’autocontrollo, la perizia. E’ uno spettacolo affascinante, ipnotico: la stessa musica ripetuta infinite volte segna il passo, ti tira dentro. Ti ritrovi ad un passo dal cavallo, che sembra impazzito, ma dominato, con la gente che sostiene con le mani la sua impennata, quasi a voler partecipare della forza della divinità. E’ una follia collettiva, è rischio, adrenalina, curiosità e paura. Sono emozioni intense, che discutiamo tra noi in seguito, sedute al bar dei minorchini, di fronte a tapas, birra e pomada, circondate da migliaia di persone che bevono, mangiano, ballano.

L’ultimo giorno ci aspetta la visita ad un importante sito archeologico ed un trekking leggero, che ci riporta al contatto con la terra, e la vegetazione. Oggi ascolto il suono del vento e dei nostri passi sul terreno… che note saranno? Provo ad intonarle nella mia mente. E’ difficile tradurre la natura!!! Ogni tanto sorge una domanda. Tra noi si chiacchiera, si ride, a volte anche a crepapelle.

E ci sentiamo tanto vive! Grazie, Federica, questo trekking è stato davvero un regalo!

Daniela Borsari

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