Riflessioni e ricordi un viaggio lento da mare a mare.


Racconto semi- fantastico di Gianfranco Bracci
 
“A piedi e con cuore leggero m’avvio per libera strada
in piena salute e fiducia, il mondo offertomi innanzi,
Il lungo sentiero marrone pronto a condurmi ove voglia”
Tomas Espedal
 
…dopo l’ennesimo saliscendi il sentiero usciva dall’alta ed ombrosa foresta di faggi misti ad abeti per raggiungere una solare radura: un grande cervo, il cui palco di corna appariva in tutta la sua imponenza, brucava tranquillamente la tenera erbolina che spuntava al limitare del bosco.
Quando i trekkers se lo trovarono di fronte, l’animale si girò appena verso di loro, come se quegli esseri non rappresentassero alcun pericolo. Uno degli escursionisti tirò subito fuori dalla zaino la macchina fotografica e, vista la confidenza che il cervo dava loro, iniziò lentamente e furtivamente – tenendosi piegato verso terra come un felino – ad avvicinarsi il più possibile all’animale, per scattare qualche bella foto.
Il grande ungulato ruminava tranquillamente, esalando volute di vapori dalle froge del naso che, data l’aria tersa e fredda del mattino primaverile, parevano trine luccicanti in controluce. Le lunghe e ramificate corna venivano portate dall’imponente esemplare come fossero una corona. Queste apparivano in buona parte levigate e smozzicate a testimonianza delle tante battaglie intraprese con successo durante la lunga vita di maschio dominante. Tutto faceva capire che fosse molto vecchio ma ancora in ottima forma.
Gli altri trekkers rimasero attoniti e pietrificati dall’audacia del compagno improvvisatosi fotografo e restarono immobili, senza fiatare, aspettando che succedesse qualcosa.
Paolo, il fotografo, scattò una sequenza di foto senza che succedesse niente. Poi, quando fece per ritornare sui propri passi mettendosi fuori pericolo, il cervo si girò di scatto e, alzato il muso verso il cielo, lanciò un terrificante bramito per poi lanciarsi di scatto verso il malcapitato e caricarlo corna verso terra.
“Dai svegliati Paolo! Guarda che non ti sta aggredendo nessuno!
Porca miseria che sogno! Stefano mi sembrava proprio di essere caricato da un cervo!
E invece Paolino, dovrai caricarti lo zaino sulle spalle che sono le sette e dobbiamo partire. Sai bene che la tappa stavolta è lunga e le previsioni non sono ideali. Quindi, prima si parte e prima si arriva. Un modo per evitare “bussate d’acqua” vero?”
I due amici si alzarono, rifecero lo zaino, cercando di rimettere al suo posto, tutto quanto era loro servito durante la notte. Ma, come al solito, la cosa non era facile e ci volle un pochino prima che sacco a pelo, materassino, ecc  riuscissero a riprendere il proprio angusto spazio all’interno della casa viaggiante. Quindi un buon caffè, una fetta di torta ai mirtilli, preparata con il solito amore dalla Gina, che del Rifugio era la regina, e via su per i pendii erbosi che in Appennino chiamano “pelate.”
Paolo e Stefano erano due amici. Lo erano diventati solo da alcuni anni in quanto legati dalla comune passione del camminare che si esprimeva al massimo durante il “viaggio lento a piedi”, come amavano definirlo. Si trovavano bene anche per altre passioni: ad esempio erano ambedue grandi tifosi della Fiorentina, amavano l’archeologia, la lettura e la scrittura che avevano sperimentato con successo anche insieme. Insomma, un’amicizia nata in modo spontaneo che si stava cementando ogni giorno di più.
Camminando, ai lunghi periodi di silenzio e meditazione, seguivano profonde riflessioni sul senso della vita e sui vari argomenti affrontati volta, volta. Le chiacchierate avvenivano in grande confidenza; un’intimità che difficilmente si concede in altre modalità di viaggio. Però li si! In quella dimensione che il grande Herman Hesse definiva “l’essere in cammino”, cioè uno stato d’essere parallelo nel quale si entra in una specie di “sogno” vissuto camminando, giorno dopo giorno e passo dopo passo. Come in un’altra dimensione dove il tempo e lo spazio diventano variabili meno definite consentendo a chi vi entra di esplorare parti della propria mente sconosciute che possono produrre sensazioni ed esperienze che appartengono ad un mondo onirico.
I due viandanti per passione amavano confrontarsi e, solo durante il cammino riuscivano a farlo con limpidezza di pensiero:
“vedi Paolo, il mio viaggio lento a piedi è compreso fra la radiosa, colorata e profumata, mattina della nostra partenza da Pisa e il piovoso pomeriggio che stiamo vivendo.
In mezzo a queste due sensazioni iniziali e finali ci sono un’infinità di esperienze, incontri, visioni, riflessioni, percezioni, che vanno a comporre il vero tessuto di questo trekking.
Ad una prima analisi a pelle mi verrebbe subito di sbottare in un…”ma quant’è bella la nostra Italia!“ Che, giuro, non sarebbe assolutamente retorico.
E’ che questo nostro paese straordinario è così bello e vario da non poterne comprendere a pieno la caratura. Inoltre, noi che vi siamo nati e ci viviamo, siamo i primi a conoscerlo poco.
Forse camminandoci dentro, senza fretta si riesce a carpirne alcuni segreti. Probabilmente questo è l’unico modo per poterne decifrare le chiavi di lettura che ci consentono di  provare ad apprezzarne il valore che resta però inestimabile. “
“Sono d’accordo Stefano ed aggiungo che: quello che salta agli occhi, passo, passo è la diversità degli ambienti che ne compongono il variegato territorio. Muovendosi con lentezza in un viaggio attraverso le due regioni di Toscana ed Emilia Romagna, come stiamo facendo, sarai d’accordo che quanto attende il viaggiatore sono: profumi e colori mediterranei, zone umide solcate dal volo dei grandi uccelli acquatici, ombrose e silenti faggete quali enormi tappeti verdi a cavallo del Dio Appennino, colline ridenti punteggiate di castelli, rocche e case da signore, coltivi splendenti di grano ondeggiante, frutti rossi da cogliere per strada in un supermercato gratuito all’aperto. E poi ampie vedute dalla privilegiata posizione degli argini dei fiumi. In lontananza chiaroscuri invitanti, svolazzanti nuvoloni, talvolta ammantati di bianco, talvolta scuri in volto come briganti in attesa delle proprie vittime.
Anche gli scrosci d’acqua, benedetti forse dai contadini, stavolta ,cosa strana, sono stati accetti anche da noi escursionisti del terzo millennio.
Ricordi l’altro giorno che ci siamo messi a cantare sotto la pioggia scrosciante ? Sembrerà strano ma durante questo viaggio a piedi, ci sentivamo troppo avvantaggiati rispetto ai nostri predecessori del passato: loro lento pede  e poco più; noi scarponi con suole di vibram, goretex a go go e integratori di tutti i tipi. Almeno la pioggia però era giusto che ci venisse addosso in egual misura anche a distanza di secoli o millenni, non ti pare?
E’ vero Paolo in fondo ci sembrava il minimo in questa impari gara fra antichi e moderni viaggiatori. Quindi abbiamo accettato anche la pioggia, le nebbie, l’umidità, il tuono e il freddo scorrere dell’acqua sulla schiena, senza battere ciglio e con molto fair play.
Anche perché…una volta giunti alla meta, noi potevamo rifocillarci e fare un caldo bagno che forse…”loro” non sempre avevano a disposizione.”
Intanto…cammina, cammina, i vari territori si svelavano agli occhi attenti dei due viaggiatori avvicendandosi uno dopo l’altro in ogni loro dettaglio.
Le tante albe incantate, i meriggi assolati, le tuonanti saette di Giove pluvio, accompagnate dalle assordanti piogge, i tramonti tinti d’arancio e rosso carminio, si alternavano in continuazione pervadendo gli umani sensi, del bipede che era in loro. La riscoperta del silenzio metteva talvolta soggezione in quanto riusciva ad sottolineare la differenza con l’assurdo caos quotidiano che contraddistingue questa epoca e le città in cui viviamo. In ogni momento i pacifici sussurri del mondo arrivavano alle loro orecchie ben prima del normale. I tanti giorni di cammino, d’immersione completa nella natura, stavano ricollocando i sensi semplicemente nel loro luogo naturale. Gli avevano ridestati da un sonno antico per amplificarli e riportarli alla stregua dei sani istinti animali.
Evviva l’animale che è in noi! Veniva da pensar loro. Non emarginiamolo, cerchiamo anzi di salutarlo in modo positivo, senza mai sottovalutarlo. Insomma… facciamone buon uso.
 
Intanto i diciotto giorni di cammino erano passati così velocemente da non accorgersi di essere già arrivati alla mèta. La percezione degli accadimenti in successione, di questo empresente[1] che si srotolava sotto i loro occhi, aveva fatto in modo che quello che gli circondava scorresse a mille all’ora…mentre loro procedevamo a passo lento.
Che la percezione del passare del tempo sia inversamente proporzionale alla velocità di spostamento ? Forse. Chissà? Si dovrebbe indagare.
Camminando avevano meditato tantissimo. Avevano scavato dentro se stessi rimanendo però “sempre in vista” di ciò che gli circondava. In questo modalità di viaggio, avevano avuto la netta sensazione di provare le stesse emozioni e sensazioni dei loro antenati che camminavano per lavoro e per obbligo .Anche questi predecessori si rapportavano continuamente con le preponderanti forze della natura e del fato. Lo facevo semplicemente, in grande comunione con l’universo del quale erano figli e parte integrante. Come i due amici camminatori moderni, si muovevano a piedi  tenendosi cucita addosso questa comunione col mondo, come se fosse un abito sartoriale. In questo modo loro non turbavano l’equilibrio degli altri esseri viventi e dell’infinito contenitore chiamato Natura dove tutti viviamo ma bensì , per un’incomprensibile equazione, ne accrescevano il valore. Adesso viaggiando si vive l’opposto. Il viaggio è solo uno spostamento in una scatola di metallo, vetro e plastica, sia essa l’automobile, il treno o l’aereo. Al giorno d’oggi il viaggiatore non accresce più il valore delle forze universali che lo governano ma semmai, ne rapisce la parte integrante depauperandone le risorse…che sappiamo non essere infinite.
Alcuni giorni prima i due amici avevano valicato l’Appennino, montagna che ha sempre unito e mai diviso i popoli situati sugli opposti versanti.
L’avevamo fatto calcando le millenarie pietre della strada romana che alcuni definiscono “Flaminia Minor”. Alcuni tratti di selciato sono stati riportati alla luce dall’avvocato Agostini in anni ed anni di ricerche e calpestandone il tracciato avevano provato un’intensa emozione. Quelle pietre sono li, alle intemperie non certo favorevoli dei “Monti Azzurri” ed incutono ancora l’autorevolezza della loro millenaria età. In quei giorni il tempo era grigio e piovoso e nebbioline azzurrognole regalavano un’aura di grande effetto. Sembrava di vivere nella sceneggiatura di un film che parlasse di maghi e streghe. Erano le giornate giuste per attraversare la catena montuosa che tanta angoscia aveva messo a tutti coloro che la dovevano oltrepassare in passato.
I due moderni viaggiatori invece si sentivano tranquilli, in pace con se stessi e quasi fortunati di vivere un’esperienza simile a quella del commerciante etrusco, del legionario romano o del viaggiatore settecentesco.
Superato lo spartiacque dello stivale italiano, restava solamente la vasta pianura Padana da attraversare. Dal crinale appariva assolata, ventosa e spaventosamente piatta. Ma anche questa terra, che in auto o in treno sembra quasi insignificante, ha invece un grande fascino se la si “fruga” lentamente e con l’occhio attento di chi non corre. Solcata da grandi fiumi che raccolgono le acque sia delle Alpi che dell’Appennino, presenta ambienti di grande valore naturalistico che contrastano certamente con le sagome scure delle quinte montuose che i due si sono lasciati alle spalle: aironi cenerini, mille bianche garzette, uccelli acquatici e oche di ogni tipo, vi trovano riparo ed ideale luogo di sosta per le proprie scorribande migratorie.
Le gambe ormai vanno da sole, trik e trak, uno e due. Il passo sostenuto viene naturale tanto da farli obbligare a soste “pensate” più che desiderate oppure obbligate. Lo zaino comincia a pesare sulle stanche spalle ma le distrazioni sono tali da far volare il tempo del viaggiare. Le sere arrivano prima del previsto, anche se le giornate sono fra le più lunghe dell’anno. Paolo e Stefano convengono che questo viaggio sulla linea fra Arno e Po è tanto vario ed entusiasmante. Il bello è che le zone attraversate non risultavano assolutamente nuove ai loro occhi in quanto le avevano in buona parte percorse in fase di studio. Ma nella dimensione del viaggio lento e consapevole apparivano loro come nuove.
Poi, come in tutte le favole che si rispettino, ecco arrivare l’epilogo, il mare Adriatico, le Valli di Comacchio, l’accogliente Agriturismo Prato Pozzo con i suoi capanni di avvistamento dell’avifauna, i tanti cavalli lasciati a godersi la libertà e la pace propria del Parco del Delta del Po Emiliano.
Il tutto si azzera in un attimo, svanisce come nebbia mattutina al sole estivo ma continuerà a sgocciolare, nei ricordi, come neve al vento di scirocco, lasciando traccia indelebile nella loro memoria.
E questo è già un meraviglioso regalo di cui godere…in attesa di un nuovo viaggio lento a piedi.
 
N.B. a proposito, dei due, io potrei essere sia Paolo che Stefano, nomi fantastici di due amici veri.



[1] empresente: una definizione “dell’appena successo”, “che non è più presente ma non è ancora passato”, è una definizione coniata dal genio di Fosco Maraini, utile ad inquadrare il “carpe diem”, l’attimo fuggente che del tempo che occorrerebbe carpire con maggiore attenzione, facendolo proprio.
 
GIANFRANCO BRACCI
 
 
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