Bassa Francigena

Il cuore della Francigena


Il cuore della Francigena
Testo e foto di Gianfranco Bracci
Le tappe:
San  Miniato–Gambassi – Terme Km 23,5 + 400 dislivello salita
Gambassi – San Gimigniano        Km 13,5 +250  dislivello salita
San Giminiano – Colle V d’Elsa  Km 13,3 +270  dislivello salita
Colle V d’Elsa – Monteriggioni   Km 16,7 +250  dislivello salita
Monteriggioni – Siena                Km 20  +  330  dislivello salita
 
“Come gli ebrei che entrarono nella Terra Promessa solo dopo molte sofferenze, così i pellegrini, affinché possano entrare nel regno celeste del Padre promesso ai fedeli, devono accettare imbrogli dei locandieri, scalare montagne, camminare faticosamente giù per le vallate, sopportare il terrore di essere derubati e le ansie di trovare la strada.”
Aymeric Picaud dal “Liber Sancti Jacobi”
Nello scorso Aprile, in compagnia di un gruppetto di amici siamo partiti da San Miniato (Pi) per ricalcare in parte le orme dei pellegrini romei che percorrevano la “Via Francigena”.  La Via Francigena, Francesca, Francisca, Francexia o di Monte Bardone, rintracciabile nei suoi numerosi diverticoli, soprattutto grazie agli appunti di viaggio di un vescovo di Canterbury (Sigeric), di un abate islandese (Niculas di Munkatvera) e di un re di Francia (Filippo Augusto) di ritorno da una crociata, appare a distanza di oltre un millennio, un trait d’union  d’infinito valore sociale e culturale fra il mondo mal interpretato e demonizzato dell’alto Medioevo ed il nostro, così globalizzato, convulso e incerto.
Noi abbiamo percorso un tratto della Via messo quasi completamente in sicurezza e segnalato con appositi segnavia bianco-rossi, oltre che con dei cartelli segnaletici riconoscibili. Ben inteso che agli occhi dei credenti, la riscoperta del ” far penitenza” possa apparire quasi obbligatoria, eravamo convinti che anche ai nostri occhi laici, il ripercorrere un tratto dell’antica direttrice medioevale potesse funzionare almeno quale sana riscoperta del paesaggio tipicamente toscano, della sua varia,  talvolta semisconosciuta, quanto affascinante provincia, così ricca di storia e natura che compone l’anima del “bel paese”. Durante il camino abbiamo assistito al connubio, o meglio, allo sposalizio fra il dolce paesaggio della campagna toscana ed i suoi gioielli che ne arricchiscono il valore: monumenti eretti lungo questa direttrice ed in onore di questa. Senza il filtro dei mezzi motorizzati e con l’attenzione del “passo, passo”, abbiamo avuto modo di carpire i segreti di un modo di viaggiare di quando “viaggio” era sinonimo d’ignoto, pericolo, vera avventura. Ci siamo convinti che talvolta possa bastare della di curiosità, un pochino di fatica e, e zaino in spalla, mettersi in cammino.
 
Il viaggio lento a piedi
Scesi dal treno della stazione di San Miniato siamo saliti alla cittadina della provincia pisana che deve il suo nome ad un certo “tedesco”. Il nome viene dall’illuminato imperatore Federico II di Svevia il quale eresse nella città, la rocca e vi fece risiedere il suo vicario per la Toscana ( da cui San Miniato al tedesco). Ammirata la svettante torre ci siamo incamminati lungo la Francigena, adesso asfaltata e segnalata in bianco-rosso, che esce dal paese in direzione Sud. Un paio di chilometri ed appena dopo una curva, oltre all’asfalto, ci siamo lasciati dietro anche la civiltà per entrare in una campagna quel giorno nebbiosa e quindi piena di fascino. Camminare in quell’ambiente ovattato ha favorito il nostro ingresso psicologico nel personaggio del “ viandante pellegrino”. Un uomo pieno di dubbi ma con una sola grande certezza: arrivare alla tomba dell’Apostolo Pietro nella città eterna. La nostra certezza era invece più modesta: arrivare, preferibilmente entro sera, nell’accogliente locanda di Gambassi Terme (Fi) per riposarci delle fatiche giornaliere e rimanere nel centro del borgo ad ammirare la semplice vita dei locali, così lontana dalla frenesia delle grandi città.
Ma attenzione, non vorrei ingenerare nel lettore l’idea che Gambassi si trovi chissà dove e chissà in quale contesto storico. A Gambassi c’è la stessa civiltà globalizzata e convulsa, guidata dalla schiavitù della televisione, dell’auto e della crisi economica, sia ben chiaro. E’ che li  la gente vive meglio, con più calma e distacco. Almeno così mi è parso, studiando il tutto per ben due ore, dal mio privilegiato osservatorio: il tavolo della locanda dove alloggiavamo, mentre sorseggiavo birra e caffè. Si, lo ammetto, la sete si era fatta sentire durante la traversata, senz’alberi, di quella bella campagna assolata. Eravamo anche un po’ stanchi, soprattutto quando, lasciata la sterrata immersa nel giallo eclatante delle fioriture, siamo dovuti salire al paese costeggiando la strada trafficatissima di auto sfreccianti alla faccia dei pellegrini moderni. Passando ci guardavano con l’espressione divertita di chi pensa: “ma chi te l’ha fatto fare?’. Beh… in quel breve tragitto me lo sono chiesto per un momento anch’io. Poi però ho stretto i denti, mi sono venuti in mente i poveri pellegrini medievali ed ho pensato: “almeno noi troveremo una bella birra gelata ad attenderci” e così è stato.
Nei giorni successivi, lungo strada, ho permeato tanti paesaggi, uno diverso dall’altro ma tutti debordanti di una dolcezza magica. Serene campagne spruzzate di antiche mura, muti testimoni di tempi lontani, ci hanno accompagnato per tutto il viaggio che è stato farcito da mille sane emozioni: le svettanti torri di San Gimignano, cittadina che sebbene troppo turistica, conserva tutto il suo fascino; la bella sorpresa Colle Val d’Elsa, un borgo antico in cui chi proviene da sud, entra scendendo per scoprire cristallerie sconosciute ai più alloggiate in vicoli medioevali. Chi se lo sarebbe immaginato così bello ed ancora “vero”, quel borgo? Poi ancora Monteriggioni con la sua intatta cerchia muraria a cui si sono ispirati gli artisti che con quella hanno cinto la testa dell’Italia! Li, Don Doriano ci ha accolto nel “Posto Tappa dei pellegrini” dove abbiamo fatto timbrare le nostre credenziali. Bello anche il camminamento delle mura da cui abbiamo assistito allo spettacolo del temporale con le sue funi di pioggia e grandine che tempestavano luoghi del circondario. Noi neppure una goccia! E’ proprio vero: la fortuna aiuta gli audaci e Noi, attraverso campi gialli come sogni estivi, siamo giunti finalmente a Siena, città nata ed allungata lungo la Via stessa.
L’Osteria del Ghibellino ci ha accolti, sudati e stanchi ma con la felicità negli occhi. Un’ottima ribollita e del buon vino sono stati il nostro premio. Ma non eravamo più così felici come prima mentre faticavamo camminando ed avevamo ancora la testa in quella dimensione che Herman Hesse definiva: ”l’essere in cammino”. Una dimensione onirica che si acquista solamente durante un lento vioaggio a piedi di più giorni e da cui ci eravamo purtroppo affrancati, appena rientrati nel caos cittadino.
Gianfranco Bracci