In Serbia, lontano da Lonely planet – parte II-


Il nostro primo “contatto” umano forte fu il trasferimento con il pullman di linea da Belgrado a Zlatibor. Unici stranieri in mezzo ai serbi, ci allontanavamo dalla città, dalle periferie, incontravamo paesi e scenari montuosi che ci avrebbero tenuto compagnia per i giorni successivi e devo dire che già respiravamo la cifra tipica del viaggio, ossia l’atmosfera “familiare”.
Il pullman pieno di persone che nonostante non si conoscessero parlavano e si intrattenevano le une con le altre con molta più facilità che da noi. Iniziare una conversazione tra sconosciuti era un free good, nessuno te la negava. E anche i paesaggi non erano da meno: la montagna serba sembra il nostro Appennino, solo con valli più ampie e il caratteristico “design” dei covoni di paglia che hanno una forma appuntita e buffa.
Il primo giorno di trekking, come un filo rosso che ci avrebbe guidato nel corso dell’intera esperienza, toccammo con mano il significato della parola “ospitalità”. Anche qui, il ricordo familiare del passato. Mia nonna mi parlava di quando, in Veneto, si portava la polenta ai nuovi vicini di casa come segno di benvenuto. Noi ci imbattemmo in un signore proprietario di un terreno che si trovava sul nostro percorso.
“Visto che dovete passare, fermatevi alla fonte a bere”.
“Grazie!”
“Beh, visto che siete qui, venite a prendere un caffè dentro”
“Ma non si disturbi”
”Intanto che aspettate il caffè, vi ho portato la rakija (n.d.a., grappa tipica)…”
Una tipologia per i maschi, quella più buona e aromatizzata alle amarene del suo albero per le donne (ero contenta della mia femminilità).
A questo punto peccammo d’ignoranza culturale, aggravata dalla colpa della guida per mancato avvertimento. Infatti noi per essere gentili continuavamo a scolarci uno, due, qualcuno tre bicchierini che come per magia ritornavano sempre pieni (sarà la fatina della grappa? Cominciava già il delirio post-alcolico) e soltanto alla fine la guida, risvegliata dal sogno di Cenerentola ci illuminò sul loro concetto di ospitalità, ossia continuare a offrire finché il desiderio dell’ospite non fosse completamente soddisfatto, e un bicchiere vuoto poteva significare solo “ne voglio ancora”.
L’unica strategia per sfuggire al coma etilico era esattamente il contrario di quello che avevamo fatto, ossia lasciare un residuo nel bicchiere. Quando si dice che le incomprensioni culturali possono uccidere!
Ma la tempestività della lezione non ci salvò dai biscotti e dalla visita all’interno della casa e all’adiacente casetta di legno che l’uomo aveva costruito con le sue mani. Dopo un’ora e mezza e una moglie, una figlia e una nipotina dopo eravamo di nuovo in marcia, ebbri di nuovi insegnamenti ma soprattutto ebbri e basta, contro il primo comandamento del Dio Trekking che proibiva il consumo di alcool peggio che la Bibbia dei mormoni. Ma felici!
by Nicole Pilotto
2- continua- ( parte I pubblicata il 13 novembre 2012)

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