abraham

“Segnali” d’arte.


La prima volta che ho visto un segnale stradale “artisticamente modificato” è stata a Roma, nei pressi del Pincio. Ho pensato che la creatività dei romani fosse davvero degna di nota. Infatti, l’indicazione di un divieto di transito era stata trasformata nel divertente quadretto di un omino operaio intento a trasportare una trave bianca. Il secondo incontro con una segnaletica creativa è stato a Valencia, in Spagna: la “T” su sfondo blu del cartello d’indicazione di strada senza uscita era divenuta l’immagine ben stilizzata di un crocefisso. Mi sono detto che anche gli iberici non scherzano, quanto a fantasia. Ho però iniziato a pensare che dietro tutto ciò poteva anche esserci un “disegno superiore”. Mi sono quindi ripromesso di scoprire a chi appartenesse la mano creatrice di quest’arte così insolita, Alla fine l’ho trovato: non è un romano, né uno spagnolo. È Clet Abraham, pittore, scultore e street artist francese trapiantato in Italia dagli anni novanta «perché ci vuole il confronto con la diversità per crescere». Abraham attua piccole ma creative modifiche artistiche della cartellonistica stradale, con degli adesivi abilmente sagomati sulla segnaletica delle vie di mezza Europa. Da qualche anno vive a Firenze, città che ha visto il suo battesimo come artista dello sticker nel luglio 2010: «la mia prima opera è stata la strada senza uscita con il Cristo, il mio preferito tuttora!». Tralasciando in questa sede le sue opere artistiche più tradizionali, è proprio della sua particolare arte di strada che intendiamo parlare con lui.

Grazie alla tua inventiva, i cartelli stradali invece di essere evitati dai turisti nelle foto, sono diventati oggetto d’inquadrature in località come Roma, Londra, Parigi. Che effetto ti fa?
«È molto gratificante, sono riuscito evidentemente a migliorare il patrimonio visivo comune, il sogno di ogni pittore».
Il tuo cognome, Abraham, è presente sia nella Bibbia sia nel Corano. Nei segnali stradali da te “trattati” troviamo Cristi, Madonne, diavoli. Vuoi dare un messaggio particolare?
«Senza dubbio. La parola di Cristo la trovo sempre attuale, ma rifiuto la dottrina religiosa come imposizione. Considero la spiritualità troppo importante e infinita per essere così preconfezionata. Sarei poi curioso di sfidare anche delle culture completamente diverse, magari di tipo islamico». Quando e come realizzi le tue “opere di strada”?
«In genere giro in solitario la notte con la bici, alla ricerca del cartello “importante”. Fare ciò si avvicina molto al mio sentimento di libertà».
Pensi che i segnali stradali dopo il tuo “trattamento” siano ugualmente comprensibili per gli automobilisti? 
«M’impegno molto per lasciare leggibile il segnale, è una delle sfide che mi sono imposto e cerco di trovare delle interpretazioni in tema con il senso stesso del cartello originale. Rispetto l’imperativo della segnaletica, ma mi piace positivizzarlo».
C’è un tuo “segnale d’arte” che ho visto di recente a Pisa. L’omino dei lavori in corso l’hai sagomato con una palla al piede con tanto di catena. Lavoro uguale costrizione?
«Personalmente non ho mai sopportato il posto fisso, la mobilità è vita, crescita e scoperta di se stessi. Ma non abbiamo tutti lo stesso carattere e un po’ di sicurezza a volte aiuta».
L’economista bretone Serge Latouche, tuo conterraneo, parla di “decolonizzazione dell’immaginario” [ovvero, della personale rielaborazione degli stereotipi culturali indotti dai media ndr]. T’identificheresti con quest’obiettivo?
«La “decolonizzazione dell’immaginario” è fondamentale per l’evoluzione dell’uomo, occorre sapersi reinventare per migliorare».
Come non provare simpatia per questo singolare artista? Grazie a lui, potreste rimanere per lunghi secondi a contemplare un segnale stradale. Magari anche prima del suo “avvento” vi sarà capitato di farlo, certo. Ma un conto era controllare se quella multa per divieto di sosta trovata sul parabrezza fosse davvero meritata, altro è godersi una piccola espressione d’arte.
Raffaele Basile
 

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