lumaca

La chiocciola, simbolo dell’ a-crescita che potrebbe “salvarci”


La chiocciola è il simbolo della terza Conferenza internazionale su decrescita, sostenibilità ecologica ed equità sociale, che si terrà a Venezia a partire dal prossimo 19 settembre.  La figura stilizzata del singolare mollusco, già da un po’ in auge a causa del suo utilizzo negli indirizzi di posta elettronica, non è stata scelta a caso, viste le tematiche della Conferenza.

L’animaletto invertebrato abita infatti  nella stessa conchiglia per tutta la vita. Non risulta da nessun trattato scientifico che gli passi mai per le antenne la tentazione di procurarsi un’abitazione più grande e confortevole. Quella è semmai un’aspirazione che la bestiolina in questione lascia ai paguri. Questi ultimi visitano, si scelgono e “abitano” le conchiglie vuote che ritengono più idonee alle proprie esigenze, proprio come farebbe un umano civilizzato.

Quando la chiocciola nasce, ha già il suo guscio -“casa” sul dorso, che poi cresce con lei. Una ghiandola del suo organismo produce una sostanza calcarea per ingrandire la propria conchiglia. Quando ce n’è bisogno, la chiocciola riesce anche a fare delle piccole riparazioni alla propria struttura abitativa, anche perché una nuova non potrebbe “permettersela”. La conchiglia della chiocciola cresce in cerchi annuali che poco a poco si avvolgono a elica attorno a un asse detto columella. Nel momento in cui la chiocciola raggiunge la taglia massima della conchiglia, in rapporto alle proprie dimensioni, l’accrescimento si arresta.

Uno dei massimi teorici della decrescita, l’accademico francese Serge Latouche, richiama nei suoi scritti la naturale saggezza della “lumaca”, proprio per meglio descrivere le proprie teorie: «la lumaca costruisce la delicata architettura del suo guscio aggiungendo una dopo l’altra delle spire sempre più larghe, poi smette bruscamente e comincia a creare delle circonvoluzioni stavolta decrescenti. Una sola spira più larga darebbe al guscio una dimensione sedici volte più grande. La lumaca, evidentemente dimostra maggiore saggezza degli uomini, “capisce” che quella eccessiva grandezza peggiorerebbe la qualità della sua esistenza e allora abbandona la ragione geometrica in favore di una progressione aritmetica».

L’uomo contemporaneo delle società capitalistiche, va proprio nel senso opposto alla chiocciola. Consuma troppo, butta via troppo e “si mangia” troppo della natura circostante, proprio perché la sua “crescita” o presunta tale non riesce né vuole riuscire a fermarsi. Il delirio consiste nella radicata e irrazionale  convinzione che sia possibile una crescita infinita in un luogo, quale è il la terra, finito per definizione. La crescita viene associata all’idea di benessere, ma quali sono le prove certe che le cose stiano proprio così? Vista la crescita degli ultimi due secoli, ormai dovrebbe essere maturo il tempo  della “paradisizzazione” del nostro pianeta, se le teorie ad essa legate fossero davvero totalmente valide. E invece, sembrerebbe che ci stiamo dirigendo agli antipodi della sfera paradisiaca, tanto che qualcuno in vena di facezie riesce anche a inventarsi improbabili profezie Maya, che conducono diritti all’”inferno”.

La società della decrescita, o meglio ancora della a-crescita ( che non rinnega il progresso)  dovrebbe invece fondarsi su un sistema di valori capovolto rispetto a quello attuale, ormai in gran parte svuotato di significati. Ci vorrebbero ad esempio non irrilevanti dosi di senso della giustizia, di responsabilità, di valorizzazione e apprezzamento della differenza.  L’uso dell’intelligenza non dovrebbe essere visto come un “pericolo” per il sistema e la riduzione degli sprechi dovrebbe divenire la regola invece dell’attuale eccezione.

Per giungere a ciò, ci vorrà un non facile percorso che consapevolizzi quanta più umanità possibile su di una circostanza semplice ma a quanto pare difficile da ammettere. I valori su cui si è a lungo fondata la cosiddetta crescita, si sono un po’ alla volta sgonfiati e di essi sono rimasti solo dei gusci flosci, che molti non riescono a vedere come ormai vuoti. Per riempirli di nuova vitalità, occorre in primo luogo liberarsi dell’idolatria dello sviluppo indiscriminato.

Raffaele Basile

1 commento
  1. valentina
    valentina dice:

    questo è un’ articolo davvero molto interessante, quanto ci vorrà perchè le persone si rendano conto della qualità della vita e non della quantità di ciò che si possiede?
    forse siamo pochi ma i nostri ideali sono l’unica cosa che ci permette di vivere una vita di “qualità” e dobbiamo portarli avanti nonostante così tante cose remino contro di noi.

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